Relazione di don Tommaso all'incontro ODL


* Sebbene la creazione sia descritta nelle primissime pagine della Bibbia (capitoli 1 e 2 del Libro della Genesi), non dobbiamo pensare che l’uomo biblico abbia conosciuto Dio anzitutto come Creatore. Per prima cosa il Signore si è rivelato come «il Dio dei patriarchi, il Dio di Abramo, Isacco e Giacobbe», colui che in libertà si è unito a un casato e ha fatto alleanza con esso. Il “clan familiare” di Giacobbe è poi divenuto un popolo, con il quale il Signore ha fatto un patto, mostrandosi prima come liberatore (vedi la fuga dall’Egitto) e poi come “divinità nazionale”, che tranquillamente coesisteva con le divinità degli altri popoli cananei. È solo a partire dal VI secolo prima di Cristo che i saggi di Israele, messi duramente a confronto con la sapienza babilonese durante l’esilio, riconoscono che il «Dio di Abramo, di Isacco e di Giacobbe» è anche all’origine di tutto ciò che esiste, è l’autore della creazione.

* Dobbiamo anche notare che i primi capitoli della Bibbia ci offrono due narrazioni differenti dell’opera creatrice di Dio (rispettivamente in Gen 1,1-2,4a e 2,4b-24). Non interessa in questa sede entrare nelle complesse discussioni delle tradizioni bibliche, che sono all’origine del testo finale, redatto non prima del V secolo a.C. Più interessante è notare che esse forniscono come due “versioni” differenti eppure convergenti del medesimo racconto (un po’ come quando si ascoltano due persone raccontare un episodio a cui entrambi hanno partecipato: ciascuno – a partire da ciò che più lo ha colpito – sottolinea elementi diversi).

* Vale per entrambi i racconti una premessa importante: la preoccupazione dell’autore biblico non è quella di una ricostruzione “storica” di come sia avvenuta l’origine del cielo e della terra, bensì una riflessione sapienziale che risponda alla domanda: perché esiste tutto ciò che c’è? Che origine ha il mondo e la natura? Perché c’è l’uomo? Perché il male nel mondo? Gli studiosi parlano a riguardo di “eziologia metastorica”, che letteralmente significa la ricerca dell’origine non sul piano delle cause fisiche (per quello ci affidiamo alla scienza) bensì su quello dei significati filosofici e di senso.

* È importante ricordare che al credente non è mai chiesto di “scegliere” tra una prospettiva scientifica e una di fede. È vero il contrario: illuminata dalla fede, la ricerca scientifica riesce ad accompagnare l’umanità nella comprensione sempre più piena del mistero della vita, dono di Dio. Con immagine molto efficace san Giovanni Paolo II così scriveva: «La fede e la ragione sono come le due ali con le quali lo spirito umano s'innalza verso la contemplazione della verità. E Dio ad aver posto nel cuore dell'uomo il desiderio di conoscere la verità e, in definitiva, di conoscere Lui perché, conoscendolo e amandolo, possa giungere anche alla piena verità su se stesso» (GIOVANNI PAOLO II, Enciclica Fides et ratio [1998], §1). Anche il Catechismo della Chiesa cattolica riconosce il contributo che la scienza dà in questo ambito: «La questione delle origini del mondo e dell’uomo è oggetto di numerose ricerche scientifiche, che hanno straordinariamente arricchito le nostre conoscenze sull’età e le dimensioni del cosmo, sul divenire delle forme viventi, sull’apparizione dell’uomo. Tali scoperte ci invitano ad una sempre maggiore ammirazione per la grandezza del Creatore, e a ringraziarlo per tutte le sue opere e per l’intelligenza e la sapienza di cui fa dono agli studiosi e ai ricercatori» (CCC 283).

* Il primo racconto biblico mette l’accento sull’opera creatrice di Dio, cioè su ciò che Dio ha fatto dando origine a tutto ciò che esiste. È chiarissima la preoccupazione dell’autore biblico: mostrare che tutto ciò che esiste ha origine nella libera e gratuità volontà di Dio. La natura, che tanto ha affascinato l’uomo antico per la sua grandiosità e potenza, è “creata” e quindi ha ricevuto da altri la sua stessa esistenza: dunque non è essa stessa dio. Scrive papa Francesco: «Il pensiero ebraico-cristiano ha demitizzato la natura. Senza smettere di ammirarla per il suo splendore e la sua immensità, non le ha più attribuito un carattere divino» (enciclica Laudato si’, 78). Al tempo stesso la creatura è frutto di un disegno di bene da parte di Dio. A differenza di altre mitologie antiche, per la Bibbia Dio ha dato origine all’universo non perché avesse bisogno di “schiavi” per la propria sussistenza, ma per amore. Così si esprime il Catechismo: «Dio ha creato il mondo per manifestare e per comunicare la sua gloria. Che le sue creature abbiano parte alla sua verità, alla sua bontà, alla sua bellezza: ecco la gloria per la quale Dio le ha create» (319). E aggiunge papa Francesco: «Per la tradizione giudeo-cristiana, dire “creazione” è più che dire natura, perché ha a che vedere con un progetto dell’amore di Dio, dove ogni creatura ha un valore e un significato» (Laudato si’, 76).

* La creazione stessa avviene con un preciso ordine attraverso successive separazioni: la luce dalle tenebre, le acque sotto il cielo (mare) da quelle sopra il cielo (firmamento), le acque dalla terra ferma, le piante ciascuna secondo la propria specie, gli animali secondo la propria specie, l’essere umano nella sua dualità di maschio e femmina. Per la Bibbia creare è soprattutto ordinare, distinguere, sottrarre tutto ciò che esiste dal caos disordinato. All’inizio della vita non sta una Natura deificata di cui l’uomo è solo un elemento, e neppure un caos confuso nel quale non esiste alcun senso. La riflessione biblica, portata a compimento dal nuovo Testamento, riconosce che all’origine di tutto sta una “ragione creatrice”, che in greco si esprime con il termine Logos (cfr. Gv 1,1): «“Logos” significa “ragione”, “senso”, “parola”. Non è soltanto ragione, ma Ragione creatrice che parla e che comunica se stessa. È Ragione che è senso e che crea essa stessa senso. Il racconto della creazione ci dice, dunque, che il mondo è un prodotto della Ragione creatrice. E con ciò esso ci dice che all’origine di tutte le cose non stava ciò che è senza ragione, senza libertà, bensì il principio di tutte le cose è la Ragione creatrice, è l’amore, è la libertà. Qui ci troviamo di fronte all’alternativa ultima che è in gioco nella disputa tra fede e incredulità: sono l’irrazionalità, l’assenza di libertà e il caso il principio di tutto, oppure sono ragione, libertà, amore il principio dell’essere? Il primato spetta all’irrazionalità o alla ragione? È questa la domanda di cui si tratta in ultima analisi. Come credenti rispondiamo con il racconto della creazione e con san Giovanni: all’origine sta la ragione. All’origine sta la libertà» (Benedetto XVI, Omelia nella Veglia pasquale, Roma, 23.04.11).

* Non è dunque particolarmente interessante domandarsi la ragione per cui un elemento venga creato prima dell’altro o soffermarsi sulla presunta anomalia per cui la luce venga creata prima delle “fonti di luce”, il sole e la luna. L’interesse dell’autore di Gen 1-2 non è quello scientifico moderno di ricercare le cause, bensì quello sapienziale di conoscere il senso di ciò che esiste. Tuttavia la riflessione biblica non è priva di conseguenze pratiche per la vita dell’uomo. La creazione appare infatti all’interno della tensione tra unicità nell’origine (tutto deriva da Dio Creatore) e differenza nella destinazione (ogni creatura è distinta dalle altre). Non c’è spazio – dopo la creazione – per confusione o disordine. Anzi, quando il peccato farà ingresso nel mondo (purtroppo molto presto, già al capitolo 3 di Genesi), esso avrà la forma di rapporti disordinati, dove l’armonia e la fiducia iniziale tra Dio, l’uomo e la natura, lasceranno il posto alla sfiducia, al sospetto, all’inimicizia. Pertanto, come scrive papa Francesco, «la cura autentica della nostra vita e delle nostre relazioni con la natura è inseparabile dalla fraternità, dalla giustizia e dalla fedeltà nei confronti degli altri» (Laudato si’, 70).

* Il primo racconto della creazione è ritmato da un duplice ritornello. Anzitutto il passare dei giorni contribuisce a dare ordine all’intera opera creatrice di Dio: «E fu sera e fu mattino: primo/secondo/terzo… giorno». Retrospettivamente la scansione del tempo in settimane viene visto e riletto alla luce dell’intervento creativo di Dio, così che nello scorrere dei giorni celebra quotidianamente Dio creatore, soprattutto nel settimo giorno, quello del riposo del sabato.
Ma prima che ogni giorno si chiuda, il narratore registra lo sguardo ammirato e stupito di Dio rispetto a ciò che ha compiuto: «Dio vide che era cosa buona». Dio stesso è il primo spettatore ammirato di fronte a ciò che liberamente e per amore ha scelto di chiamare all’esistenza. Ma all’apparire dei primi esseri animati, nel quinto giorno, la contemplazione di Dio si trasforma in benedizione: «Li benedisse: “Siate fecondi e moltiplicatevi…”». Nella prospettiva biblica la benedizione è strettamente legata alla fecondità, come possibilità di partecipare all’opera creatrice di Dio: da ora la vita sarà trasmessa direttamente dalle creature, come segno di una fondamentale fiducia che il Signore ha per tutto ciò a cui ha dato origine. Lo spiega bene il Catechismo della Chiesa cattolica: «Dio è il Padrone sovrano del suo disegno. Però, per realizzarlo, si serve anche della cooperazione delle creature. Questo non è un segno di debolezza, bensì della grandezza e della bontà di Dio onnipotente. Infatti Dio alle sue creature non dona soltanto l’esistenza, ma anche la dignità di agire esse stesse, di essere causa e principio le une delle altre, e di collaborare in tal modo al compimento del suo disegno» (306).

* Vertice dell’opera creatrice di Dio è la nascita dell’uomo, fatto «a immagine e somiglianza» di Dio stesso. Rispetto al resto della creazione «soltanto l’uomo è capace di conoscere e di amare il proprio Creatore, è la sola creatura che Dio abbia voluto per se stessa, soltanto l’uomo è chiamato a condividere, nella conoscenza e nell’amore, la vita di Dio (CCC 356). Dell’originario atto creativo di Dio fa parte da subito la distinzione tra maschio e femmina: «E Dio creò l’uomo a sua immagine; a immagine di Dio lo creò; maschio e femmina li creò» (Gen 1,27). Possiamo farci affascinare da una suggestione: come Dio Trinità è se stesso nell’eterna comunione di Padre, Figlio e Spirito santo, così l’uomo è “immagine di Dio” nella sua dualità di maschio e femmina, irriducibilmente differenti tra loro, infinitamente uguali per dignità.

* Anche per l’uomo c’è benedizione, legata alla fecondità: «Dio li benedisse e Dio disse loro: “Siate fecondi e moltiplicatevi”». Ma rispetto agli altri animali, Dio assegna all’uomo un ulteriore compito, molto preciso: «“Riempite la terra e soggiogatela, dominate sui pesci del mare e sugli uccelli del cielo…» (Gen 1,28). Questo tema del “dominio” deve essere rettamente inteso, per non essere equivocato e diventare pretesto per spadroneggiare sul resto della creazione. Spiega il Catechismo: «Nel disegno di Dio, l’uomo e la donna sono chiamati a dominare la terra come “amministratori” di Dio. Questa sovranità non deve essere un dominio arbitrario e distruttivo. […] L’uomo e la donna sono chiamati a partecipare alla Provvidenza divina verso le altre creature. Da qui la loro responsabilità nei confronti del mondo che Dio ha loro affidato» (373). 

* L’intervento dell’uomo nella creazione è ben descritto dal secondo racconto, contenuto nel capitolo 2 di Genesi. Esso sarà oggetto di un approfondimento futuro e pertanto lo tralasciamo. A mo’ di slogan potremmo prendere in prestito il versetto 15: «Il Signore Dio prese l’uomo e lo pose nel giardino di Eden, perché lo coltivasse e lo custodisse». In questo anno fermiamo la nostra attenzione sul secondo verbo, che è primo in ordine logico: la custodia del creato, che parte dallo stupore di fronte alla meraviglia della natura, è ciò che fonda la possibilità di “coltivare”, nel senso attivo di fare la propria parte nell’opera creatrice di Dio.

* Merita infine una parola anche l’atteggiamento di Gesù nei confronti del creato. I Vangeli descrivono in modo molto chiaro il rapporto che Gesù aveva col creato, presentandolo come pienamente inserito nell’ambiente in cui vive e non distratto viaggiatore intento ad altro. Sono soprattutto le parabole raccontate dal Maestro a testimoniarci l’attenzione e la profondità con la quale Gesù guardava al creato. La semina, l’opera del lievito nella pasta, la tecnica della viticultura, la vita degli «uccelli del cielo» e dei «gigli nel campo»… diventano occasioni per parlare del Regno di Dio (cfr. Mt 6,25ss). Ma ciò è possibile – vien da dire – solo in presenza di una capacità contemplativa, che sa scorgere dietro alle faccende quotidiane, un rimando al mistero di Dio.
Contemplando il creato, lo sguardo attento di Gesù sa riconoscere l’opera della provvidenza del Padre, che ha cura di tutti gli uomini e le donne, così come del più fragile uccellino del campo: «Due passeri non si vendono forse per un soldo? Eppure nemmeno uno di essi cadrà a terra senza il volere del Padre vostro. […] Non abbiate dunque paura: voi valete più di molti passeri!» (Mt 10,29.31).
Di fronte al creato, Gesù rimane infine profondamente libero: è chiara ai suoi occhi la precisa gerarchia dalla quale l’universo è retto. Anzitutto c’è Dio con la sua provvidente bontà, poi c’è l’uomo con la sua responsabile operosità, infine il resto della creazione donata da Dio all’uomo per servirsene bene a vantaggio di tutti. Il “padre misericordioso” della parabola uccide il vitello grasso (cfr. Lc 15,23); la Legione di demoni è scacciata da Gesù e va nel branco di porci che affogano nel mare (cfr. Mc 5,9); il fico infruttuoso viene maledetto (Mt 21,18)… non c’è spazio nella vita del Signore per atteggiamenti che pongano la natura o gli animali al di sopra dell’uomo.

don Tommaso Castiglioni

 
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