A partire dai quattro elementi: aria, acqua, terra, fuoco


  - Testo non rivisto dall’autore -

Nel 1100 Bernardino Silvestre da Tours), descrive i quattro elementi (aria, acqua, terra e fuoco) come, al contempo, interni ed esterni all’essere umano. Non possiamo pensare che siano qualcosa al di fuori di noi, ma sono qualcosa dentro di noi. È l’idea che trovate nella concezione di uomo come microcosmo, che non è rinascimentale ma medievale: l’uomo non solo è al centro del creato, ma porta anche dentro di sé i quattro elementi e il creato. È un’idea antichissima che non nasce nel Medioevo, si trova già nella dottrina ippocratica degli umori, i quattro umori che devono rimanere in equilibrio e quando sono in squilibrio causano malattie. A ogni umore può essere associato un elemento e l’uomo è in equilibrio quando questi quattro elementi lo sono.

Troviamo questa concezione anche nella dottrina dei chakra, fondamentale per le correnti di pensiero orientali: i sette chakra sono le sette fonti di energia che caratterizzano l’essere umano. Quattro dei sette chakra rappresentano elementi dentro l’essere umano.

Allora una prima idea è questa: i quattro elementi non sono fuori di noi!

Parlare di acqua, aria, terra e fuoco non significa parlare di qualcosa che sta là, vuol dire parlare di qualcosa che è contemporaneamente dentro e fuori: io ho il fuoco dentro di me, ho l’acqua dentro di me…

Tutto questo non può portare a un antropocentrismo, che significa mettere l’uomo al centro: al centro, anche nella Laudato si’ non c’è l’uomo, ma la relazione tra uomo e creato. Non è un pensiero antropocentrico quello di papa Francesco, come non lo era quello di san Francesco, che è stato il primo pensatore occidentale a capire che il problema è la relazione dell’uomo con il creato; allora il Cantico delle creature mette al centro non l’uomo ma la capacità che l’uomo e la donna hanno di intessere dei rapporti con gli elementi. Quindi non più l’uomo che domina, ma l’uomo come fascio di relazioni.

Gli elementi non sono da mettere sugli scaffali, come spesso facciamo con la natura. Facciamo i piani regolatori delle città: un po’ di verde qui, arginiamo il fiume, ma tutto è dentro di noi e non soltanto fuori e ogni intervento sull’esterno colpisce anche l’interno.

C’è un’altra concezione sbagliata, l’idea che i quattro elementi siano nettamente separati: il rapporto tra gli elementi, il rapporto con tutto ciò che la natura ci dà e il nostro rapporto con la natura è più simile al lavoro di Escher, Metamorfosi, in cui tutto cambia completamente pur rimanendo se stesso. Ogni cosa si muta, pur mantenendo la sua identità proprio nel momento in cui entra in relazione con l’altro e con gli altri.

Gli elementi non si lasciano mai cristallizzare, la natura non si mette mai sotto una teca di vetro, non sta in una tassonomia, non è in un capitolo del libro di zoologia, né in una delle categorie di Linneo, per quanto fondamentali questo è solo un nostro modo, anche utile, di interpretare la natura.

 

Di fronte alla natura c’è lo stupore, la bellezza ma c’è anche lo schifo, ci sono anche la paura e il terrore. Quando lavorerete con i bambini e i ragazzi sulla natura, non fate l’errore di vedere solo il lato bello, positivo ed emozionante, perché la natura è anche violenza, è anche spavento e repulsione. La natura puzza e non è negativo. Non possiamo educare soltanto a un tipo di approccio con la natura, educhiamo i bambini e i ragazzi a provare tutte le emozioni. Chi ha detto che la paura e lo schifo sono negativi? Lo schifo ci ha permesso di costruire le fogne e le fogne ci hanno permesso di non prendere il colera.

La natura è tutto, è a 360°, e i percorsi educativi non possono tralasciare niente. La natura non si compra al dettaglio.

 

 

 

LA TERRA

Cosa è la terra?

La terra è fondamento perché impariamo a camminare sulla terra e ciò ci dà un’idea di sicurezza, di solidità, ma anche di difficoltà (pensiamo a un bambino che cade, a inciampare, a un sasso sul nostro cammino).

Il nome dell’elemento è uguale al nome del pianeta che ci ospita e in ebraico adamà (terra) è la parola dalla quale trae origine Adamo; la terra è veramente importante: è uno dei quattro elementi, è il nostro pianeta, è l’uomo. Essa è davvero il fondamento, ma come tutti i fondamenti non è facile e non è “liscio”. Nulla è facile, imparare a camminare è difficile: per questo è una conquista. «Bambini, imparate a fare le cose difficili!» È importante proporre obiettivi difficili, sfide enormi compiendo le quali ci si può fare anche male; se noi continuiamo a semplificare tutto, a proporre percorsi iperprotetti, andiamo contro la nostra natura che include la propensione al rischio, chiaramente calcolato.

La terra è fondamento, rischio, avventura e sfida, è possibilità che le cose non vadano bene.

Ma la terra è anche nutrimento, se noi sappiamo alimentarla come abbiamo imparato in occasione di Expo 2015. Il nutrimento che ci dà la terra è una risposta al nostro comportamento: non si tratta solo di coltivare e consumare ciò che la terra produce, ma anche di rispettarla e di “averne cura”.

Nella Grecia antica non si poteva mai vuotare il piatto e non si poteva mai vuotare completamente il calice di vino, perché era il cibo degli eroi e si doveva versarlo per terra; nel Levitico c’è l’idea che non si possano cogliere tutte le spighe e l’uva sui bordi del vigneto e del campo perché appartengono all’orfano, alla vedova e al forestiero. Come dire oggi che un bar debba lasciare delle brioche all’aperto, in modo che qualche migrante le possa prendere gratis; per un cristiano dovrebbe essere un comportamento automatico.

La terra ci risponde non se sappiamo coltivarla, ma se sappiamo rispettarla. E rispettare la terra vuol dire rispettare gli ultimi. La terra è morale, la morale è dentro le piante. È inutile andare a cercarla nei grandi princìpi: la morale è fatta degli elementi, è fatta di frutti. Allora è molto importante sapersi collocare rispetto alla terra con un atteggiamento di cura competente, ma anche morale nel rispetto della varietà, della distribuzione e dell’approccio plurale ai suoi frutti.

La terra poi non è solo quella che vediamo in superficie, essa è profonda, ha un “sotto”. Sotto questa crosta che ci permette di camminare, c’è quello che davvero conta: ci sono i tesori nascosti delle favole, ci sono i sassolini, ci sono i vermi… insomma, c’è tutta la profondità che c’è anche dentro di noi. Sotto la crosta della coscienza c’è l’inconscio, ci sono la violenza, l’aggressività e l’odio la differenza è tra chi controlla queste pulsioni e chi le lascia esplodere. Sottoterra ci sono i vermi, c’è la cacca, c’è la puzza. La terra è tob (che in ebraico contiene in sé sia l’accezione del “bello” che quella del “buono”), è buona ed è anche giusta. Certo la nostra relazione con ciò che sta sottoterra è diversa da quella con la farfalla che vola in cielo, ma bisogna entrare in relazione anche con le cose meno “belle”. Come le radici che si intrecciano con quelle degli altri alberi e creano uno straordinario intrico, anche il mondo è un “intreccio” tra la natura e la natura umana.

Ne Il viaggio al centro della terra di Jules Verne c’è un passaggio in cui il protagonista sente il silenzio: e lo definisce proprio silenzio, non come sulla terra dove c’è sempre brusio. Va sotto terra per ritrovare il silenzio, riflettere su di sé, sulla propria vita e sulla propria anima.

Leggete La tana di Franz Kafka, in cui l’autore racconta la storia di una talpa che costruisce la sua tana, utilizzando in modo straordinario il punto di vista dell’animale, e vedrete cosa vuol dire stare sottoterra con tutte le angosce che ne derivano. L’animale si sente contento, si sente protetto, poi avverte degli scricchiolii.

Andiamo a scoprire quello che c’è sotto, sapendo che potrebbe anche non piacerci, suscitare delle reazioni negative.

La terra può essere anche paesaggio, solo selvaggio oppure antropizzato, che includa uomini e donne.

Qual è il rapporto di noi umani con la natura?

Può essere di contemplazione, ma quando noi ci siamo non possiamo autoeliminarci. Perché l’uomo dovrebbe estinguersi?

L’approccio corretto dell’uomo alla terra è intervenire, perché non possiamo non farlo (anche solo respirando interveniamo), ma dobbiamo intervenire osservando la terra, rispettandola.

 

Marcel Proust, nel primo volume de Alla ricerca del tempo perduto, racconta del giardino della nonna in cui c’era un bellissimo roseto. La nonna ogni tanto passava e staccava una rosa, come fa la mamma quando il bambino torna dal parrucchiere con i capelli troppo schiacciati e lei lo spettina un po’ per dare naturalezza.

La natura ha previsto che quel bocciolo dovesse essere lì, e invece la nonna staccandolo dona naturalezza. È un paradosso? No! Perché anche io sono natura, anche la nonna è natura ed è un elemento naturale che aiuta il roseto a essere più roseto: è la grande dialettica uomo-natura.

 

La natura poi ci sporca.

I bambini devono tornare a casa dall’oratorio sporchi perché vuol dire che si sono divertiti. L’unico modo di conoscere il mondo è sporcarci con il mondo; vale anche per chi pratica discipline umanistiche, ci si sporca con la filosofia: se uno non si sporca con Hegel non lo capisce, se uno non si sporca con Leopardi non lo capisce e questo vale per tutto il nostro rapporto con il mondo.

Mettere al centro questo tema vuol dire che i bambini e i ragazzi si devono sporcare e bagnare, a costo di prendersi un piccolo raffreddore, altrimenti non parlate di natura, fategli leggere il Vangelo di Giovanni in greco (che comunque deve sporcarti, ma un po’ meno e al massimo di inchiostro).

 

 

L’ACQUA

L’acqua cosa ci fa venire in mente? Che è l’elemento dal quale siamo nati e nel quale siamo stati a sguazzare come dei simpatici pesciolini per 40 settimane. I nostri inizi sono acquatici. Non ce lo ricordiamo, ma quando d’inverno ci facciamo un bel bagno caldo con una musica di sottofondo mentre fuori fa freddo e ci immergiamo completamente, oppure quando stiamo sotto le coperte tutti imbacuccati, oppure quando riceviamo un abbraccio particolarmente caloroso torniamo in questa situazione. L’acqua è la nostra origine, lo sappiamo tutti ma ogni tanto è bene ricordare. Siamo decisamente più liquidi che solidi, come ci spiega la scienza, e la terra per noi è una conquista, come per gli anfibi. Io ho dovuto conquistare la terra, mentre nell’acqua ci sono nato. È un elemento fondamentale, quello dell’origine; infatti moltissimi riti d’iniziazione prevedono l’acqua: battesimo cristiano, riti dell’Africa… L’acqua è presente in tutti i riti di nascita e in quelli di morte. Anticamente i cimiteri venivano costruiti al di là del fiume perché le anime dei defunti non potevano attraversare l’acqua. L’acqua segna l’inizio e la fine, benché sappiamo che non c’è inizio né fine, che tutto è ciclico, sia che si creda all’eterno ritorno, alla risurrezione della carne, sia che non si creda a nulla: il mio corpo non finisce, perché si decompone e va ad alimentare le piante, diventa concime e cibo.

E l’acqua presidia i confini che non sono confini. C’è chi vuole costruire i muri tra i confini e c’è invece chi capisce che i confini sono acquatici, che non vuol dire che non esistono. Chi vive sul Po sa che c’è differenza tra il versante lombardo e il versante emiliano, ma è il fiume che segna il confine, il fiume fa quello che vuole, scorre, esce, poi rientra e poi riesce. Il Nilo, quando straripa “bene” rende fertile il terreno e quando straripa “male” può uccidere.

L’acqua ci stupisce nell’infinitamente piccolo, nella goccia che, vista al microscopio, ci rivela un mondo straordinario, e ci stupisce nel grande, nell’oceano, nel maremoto. E noi siamo lì a metà.

Avete mai visto in rete quei video che partono dalle estremità delle galassie e poi zoomano fino ai protoni e ai neutroni? La cosa straordinaria è che la prima immagine è uguale all’ultima, il confine della galassia è identica a ciò che c’è dentro ai confini dell’infinitamente piccolo.

Cos’è l’uomo?

È un bambolotto tra due infiniti, tra l’infinitamente piccolo e l’infinitamente grande. È una figura di frontiera, di passaggio. Cosa può fare l’uomo? Prendere un telescopio e guardare nell’infinito oppure un microscopio ed entrare in un altro infinito. E l’acqua ci dà questa idea nella goccia e nell’oceano.

L’acqua l’abbiamo addomesticata, portata nella nostra domus. Pensiamo all’Alhambra di Granada, che è un vero inno all’acqua. Le fontane sono un modo per prendere un elemento e portarlo dentro casa, ma non per sfruttarlo, non per venderlo (i lavatoi sono sempre stati liberi). Uno storico francese sostiene che la parola chiacchierare deriva dal fatto che le donne alle fontane parlavano tra loro e “chiacchierare” dovrebbe far risuonare il rumore dell’acqua che zampilla dalla fontana. Non so se sia vero, ma la fonte è sempre stata luogo di aggregazione, soprattutto femminile: è un luogo di contropotere, perché mentre i maschi erano in comune o in chiesa a tessere le reti del potere, le donne erano lì che lavavano, chiacchieravano e costruivano delle “contro-reti” di pettegolezzo. Quest’ultimo può essere un fortissimo strumento di contropotere e trovava sfogo dove c’era l’acqua, che con il suo chiacchiericcio tirava fuori ciò che è più profondo.

Una ragazza “acqua e sapone” non è tanto colei che non si trucca, ma una ragazza trasparente. «Sei chiaro come l’acqua. L’acqua è verità.» Non è vero: l’acqua è una gran mentitrice, ci racconta un sacco di bugie. L’acqua ci imbroglia e inganna noi così come ha ingannato Narciso, che nel suo riflesso pensava di vedere un altro adolescente davanti a sé, nel fiume, e si è buttato per raggiungerlo, morendo annegato. Questa è la continua dialettica della natura: una cosa non è mai solo una cosa, come dimostra bene il pensiero orientale; noi invece leggiamo male Platone e Aristotele pensando che una cosa o è A o è B. La natura invece non è mai univoca, è sempre molteplice e poliedrica, ci può ingannare. Nell’acqua si può annegare.

L’acqua è l’elemento più vicino a noi, ma crescendo diventa l’elemento nel quale non possiamo vivere. C’è sempre la dialettica vita/morte, possibilità/impossibilità, distanza/vicinanza eccetera.

E l’acqua è il limite. Noi possiamo imparare a nuotare ma fino a un certo punto. L’oceano è il nostro limite e l’ha capito Alessandro Magno che ha conquistato tutto, è arrivato davanti all’oceano e si è sentito impotente: se anche l’avesse conquistato come avrebbe fatto a delimitarlo, a mettere delle frontiere? Il mare è il nostro limite, ci fa capire che siamo dei bipedi poco pelosi che possono accontentarsi di saper nuotare, ma l’acqua non si può conquistare.

Anche il poeta John Keats l’ha imparato e sulla sua tomba ha fatto scrivere il famoso epitaffio: «Qui giace un uomo il cui nome è scritto sull’acqua». Ma attenzione: non viene disperso, cancellato, si divide in tanti pezzettini e John Keats cambia forma.

 

 

L’ARIA

L’aria non è il nostro elemento, l’aria è un luogo proibito, da abitare per un po’ e poi abbandonare; non è un caso che l’aria sia luogo del paradiso, degli dèi, delle stelle intese come divinità. Noi collochiamo i nostri dèi nell’aria perché non abbiamo le ali.

Gli uccelli, se avessero un paradiso, lo metterebbero in fondo al mare perché il paradiso è il luogo del proibito, dove noi non possiamo accedere. Il paradiso deve essere irraggiungibile, in excelsis.

Siccome noi non abbiamo le ali, tutto ciò che è su, in alto è positivo («Stiamo su di morale!»); pensiamo alle nostre labbra: il sorriso alza e la tristezza abbassa, le lacrime scendono. C’è una questione corporea che è connessa alle questioni culturali e spirituali.

Non si possono separare né contrapporre le questioni culturali e spirituali da quelle fisiche. Pensate a Gesù, duemila anni fa: alla fine della vita non ha fatto tanti discorsi, ma ha preso del cibo e ha dato da mangiare e chiesto di sentire il profumo e il sapore del pane, l’asprezza del vino, dopodiché ha fatto una grande teologia, ma l’ha fatta a partire dal corpo.

Non esiste una tematica senza corpo: è il tuo corpo che impara i limiti di funzione connettendoli ai tuoi limiti di essere umano e allora diventi un grande matematico. Leggete gli scritti di Einstein, di Hawking, della Montalcini che vi raccontano la loro vita, che vi raccontano di cellule perché se le sentono dentro. Non esistono due culture, umanistica e scientifica, ma esiste l’umano. Poi occorrono le specializzazioni!

Il paradiso è in alto, lontano, però è anche accessibile, come dimostra Dante.

Ma l’aria ha anche una dimensione più vicina a noi, l’aria è dentro di noi. La respirazione è il processo di scambio con l’ambiente, ci fa capire che non siamo isolati. Qual è la prima cosa che fa il bambino appena nato? Respira! Il suo urlo fortissimo segna il passaggio da una situazione “liquida” nella quale non c’era bisogno di scambio con l’ambiente, nella quale il bambino era la mamma, a una condizione che lo fa diventare un individuo. L’individuo comincia a essere tale quando inizia lo scambio con l’ambiente: noi nasciamo come individui quando instauriamo una relazione. Se il bambino si chiude in sé, muore. Il nostro primo atto è relazionale con l’ambiente e non di chiusura.

La respirazione, che ci dà il ritmo della vita, è un continuo mettere dentro e buttare fuori.

Fino a 50 anni fa in Italia, quando una persona stava morendo, per certificare la morte si prendeva uno specchio, lo si dava al bambino più piccolo presente che andava a mettere lo specchio davanti alla faccia del morente e se lo specchio si appannava voleva dire che la persona era viva, altrimenti significava che era morta. Il bambino mostrava lo specchio a tutti e poi iniziavano i riti funebri. Questo esprimeva la vicinanza del bambino con la morte e con uno dei momenti più importanti della vita e rimanda a un’idea di vita che è scambio con l’ambiente, mentre la morte è interruzione dello scambio.

Oggi, in base a quanto stabilito dal Protocollo di Harvard del 1968, un individuo è dichiarato morto quando il suo elettroencefalogramma diventa piatto e l’esame viene ripetuto a distanza di un certo numero di ore.

È più sicura, così, la constatazione di morte? Sì! Quale concezione della vita c’è dietro? Prima quella di “scambio”, ora quella di “corrente elettrica”. Le macchine “funzionano”, non le persone. Ma se hai una concezione della morte come interruzione di corrente elettrica, hai una concezione della vita come un “ON/OFF” senza relazione. Che differenza c’è tra il testare lo stato di vita di un paziente e il vedere che la batteria della vostra macchina funziona? Fenomenologicamente nessuna e questo entra nella cultura!

Noi abbiamo inventato l’aria condizionata e decidiamo noi quanto debba essere calda o fredda. Il risultato è che non usciamo più.

Secondo una ricerca, i genitori per punire i bambini dicono loro di andare a giocare fuori, al contrario di quando ero piccolo io. Siamo diventati pazzi! Come è possibile?

Vi prego non utilizzate le LIM! Fate giocare i bambini nei prati, fateli rotolare e fategli mettere le mani nel fango, perché di solito non lo fanno. Il computer non è negativo, ma oggi i bambini vivono solo in quello. Le proposte alternative devono portare altrove.

L’85% dei bambini milanesi di quattro anni non sa che il latte che hanno bevuto a colazione viene dalla mucca, ma tutti sanno accendere e spegnere il computer. Allora quali sono i nuovi saperi? Non l’informatica, perché ce l’hanno già, l’informatica rappresenta i vecchi saperi. I nuovi sono, ad esempio, mungere una mucca.

La natura è anche violenza, ma è cattiva? La natura è natura, è cattivo l’uomo che costruisce le case non antisismiche. Ma che razza di sviluppo abbiamo pensato in Italia?

Sulla Luna l’impronta di Armstrong (il primo uomo ad avervi camminato sopra) non sarà mai cancellata perché non c’è atmosfera e non c’è vento, mentre invece l’aria porta via tutto, spazza via tutto. Noi siamo non permanenti e allora possiamo provare a vedere altre arie. L’aria che respiriamo e senza la quale moriamo è solo un pezzettino di universo, oltre l’atmosfera c’è altro. Impariamo a vedere la Terra dal di fuori, impariamo a dire che la Terra è uno sputo nell’universo e ci sono altre arie fatte di altro.

 

 

IL FUOCO

L’unico elemento che non possiamo toccare perché ci brucia. È l’elemento dal quale siamo interdetti, proprio noi che siamo il culmine della creazione. Un certo evoluzionismo e un certo creazionismo credono che l’uomo sia il massimo, ma né Dio né Darwin l’hanno mai detto. In fondo la prima cosa che l’uomo ha fatto è stata disobbedire.

Il fuoco, quarto elemento, segna il nostro limite e noi dobbiamo accontentarci dei primi tre, anche se ci sono alcuni animali che sopravvivono nel fuoco. E io che ho la ragione sono inferiore alla salamandra? In questo sì, in altro no. L’uomo nuota molto peggio dello storione e corre più lento della gazzella. Proprio perché il fuoco è l’elemento intoccabile, esso entra come l’acqua in numerosi riti di iniziazione di diversi popoli, in riti di passaggio legati soprattutto all’adolescenza.

L’acqua e il fuoco, i due elementi contrapposti, presidiano i riti di passaggio in particolare, il fuoco quelli del diventare adulti.

All’inferno c’è il fuoco, il fuoco fa male e tutte le idee punitive e di purificazione si servono del fuoco: ricordiamo il delirio nazista del rogo dei libri, con la famosa frase: «Quando si comincia a bruciare i libri, si finisce per bruciare gli uomini».

Però il fuoco non è soltanto questo, il fuoco è anche rassicurante. Gli antropologi chiamano “fuochi” gli insediamenti umani. La terra senza uomo sarebbe totalmente oscura (non ha senso porsi la domanda se sarebbe migliore o peggiore). L’uomo ha portato la luce sulla terra, ma chi porta la luce? Lucifero.

Il fuoco è l’elemento più lontano da noi e più pericoloso, ma quando l’abbiamo addomesticato siamo diventati veramente umani e abbiamo dato un grande contributo alla natura stessa perché anche gli altri animali di notte possono vederci un po’ di più.

Cosa vuol dire addomesticare il fuoco? Sottomettersi al suo potere! Il bambino quando si scotta impara che deve stare lontano dal fuoco e che rispetto a esso egli è debole.

Il fuoco diventa anche il simbolo della memoria, come le candele di Yad Vashem, il memoriale della Shoah a Gerusalemme. Qui alcune candeline si rispecchiano e moltiplicano in una sala di specchi, mentre si ascoltano le storie di milioni di bambini morti.

 

In conclusione: perché proprio questi quattro elementi? Perché, a partire da Empedocle, gli esseri umani hanno pensato che i mattoni dell’universo fossero aria, acqua, terra e fuoco?

Un’antropologa americana sostiene che siano state le donne a individuarli, osservando che un cadavere se viene messo sotto terra si dissolve, se è posto su una pira viene distrutto dal fuoco, oppure se è buttato nell’acqua o lasciato su un albero va in putrefazione. Erano le donne, un tempo, a occuparsi dei cadaveri e loro hanno rivelato quali sono i quattro mattoni della morte e del dissolvimento dell’uomo, del vivente: acqua, aria, terra e fuoco.

Noi siamo abituati a pensare che prima c’è la vita e poi c’è la morte, ma dobbiamo probabilmente ribaltare questo concetto.

Tutte le grandi culture educano i bambini alla morte e hanno processi educativi che mettono la morte al centro. Se non parliamo di morte, di cosa dobbiamo parlare noi che siamo mortali? Non avremmo mai pensato alla risurrezione se fossimo immortali. Non ci innamoreremmo se non fossimo mortali, non faremmo figli se non fossimo mortali.

Ma quanto siamo consapevoli della mortalità, non solo nostra ma di tutto?

Anche l’Oratorio estivo finisce e deve finire.

De Gregori canta: «Quando un bel giorno capiremo che non ritorna mai più niente, ma finalmente accetteremo il fatto come una vittoria». Le cose non tornano, il primo amore non torna, ma è una vittoria, non una sconfitta. Riaffiorano alla memoria e poi spariscono di nuovo perché ce ne dimentichiamo e ce ne andiamo.

Ciò che definisce la creatura è l’essere mortale: occorre che troviamo un modo per affrontare questo tema anche in oratorio, attraverso giochi e racconti. Chi ha fatto sport sa quanta “morte” porta subire il canestro decisivo. Non leggera delusione, ma “morte”. Guardi il cronometro ed è finita. È la finale, è da un anno che ti alleni e l’avversario tira da metà campo e vince. Questo è lo sport! L’esperienza sportiva è anche esperienza della sconfitta. Se il bambino piange un quarto d’ora nello spogliatoio sta vivendo un’esperienza, poi viene consolato e si va a mangiare la pizza.

Non possiamo continuare a educare super uomini vincenti e forti, arroganti. Ci sono i vincitori e i perdenti, non gli sconfitti. Se noi non introduciamo la morte nei nostri processi formativi, non educhiamo l’umano ma una funzione.

E poi mi domando, sul piano cristiano: il tema della morte nella vicenda di Gesù su cosa si fonda? Se io non vivo la morte, se non ne ho paura, non ne ho mai sentito parlare, e arriva un tale che parla di risurrezione, mi chiederò cosa sia. Cosa rappresenta la risurrezione se non ho mai sentito la morte dentro di me? In cosa questo giovane ebreo crocifisso è radicale? Introduciamo elementi di morte!

La creatura è strappata dalla morte; come dice Freud negli ultimi suoi scritti, mentre muore di un terribile tumore alla bocca, in fuga dai nazisti: «In principio era la morte, se no Dio cosa crea?».

Ma allora il nulla chi l’ha creato? Il nulla non si crea, Dio sconfigge il nulla. Ma per sconfiggerlo ci deve essere il nulla. Allora cosa è la vita? La vita è un sasso gettato nello stagno che crea delle increspature, che crea qualcosa al di sotto che non vediamo, finché a un certo punto tutto si ferma. Prima c’è il nulla, dopo c’è il nulla; certo Cristo ci dice che non sarà eterno, e in mezzo c’è la nostra vita: un arco tracciato tra il nulla e il nulla.

Allora vuol dire che la vita è qualcosa di eccezionale, Freud dice che «la morte è la norma, la vita è l’eccezione» ed è vero biologicamente: se fossimo nati troppo vicini al sole, non saremmo nati o avremmo avuto delle squame per proteggerci dal calore, oppure saremmo più pelosi se vivessimo più lontani. Siamo qui perché siamo un punto di equilibrio precario.

 

Abbiamo parlato di elementi, e noi?

Noi siamo questo scimmione senza peli con gambe che non corrono tanto veloci, non tanto bravi a nuotare, senza ali e senza zanne, senza artigli e senza corazze e camminiamo in posizione eretta.

E dunque vediamo più lontano di tutti? No, ci sono animali che hanno una vista migliore.

E dunque abbiamo sviluppato il linguaggio? Morfologicamente è vero, ma chi ha un cane sa che ha anche lui un linguaggio chiaro e sincero.

E quindi abbiamo la mano libera per usare strumenti? Avete mai visto le scimmie che leccano il bastoncino e lo mettono nel formicaio per mangiare più formiche?!

Non sono queste le differenze. L’uomo cammina in posizione eretta e dunque chiunque può prendere un coltello e metterglielo in pancia: la posizione eretta ci rende l’animale più esposto di tutti al rischio e al pericolo. Un animale così “fesso” da esporre le parti più delicate.

L’uomo è l’unico che porta le mutande perché essendo costituzionalmente esposto sceglie di coprire le parti più, preziose e importanti. E allora l’uomo è fragile, l’animale più fragile.

Noi siamo esposti ai quattro elementi, noi siamo l’animale più debole.

Essendo i più deboli, quando ce ne rendiamo conto costruiamo la cultura, le filosofie, le religioni, l’arte per cercare di sopravvivere e di far vivere bene anche gli altri, perché è vero che l’uomo è indifeso ma se incontra un altro essere umano e si abbracciano, le due schiene fanno ognuna da riparo all’altro.

L’abbraccio non è un riparare me, ma un riparare te. La mia schiena intercetta il colpo che va alla tua pancia e viceversa. E se l’altro ha un coltello nascosto? È un rischio ineliminabile! O diventiamo dei cinici o viviamo di speranza e di fiducia, ma il nostro corpo non ci permette di essere cinici. La fiducia è dentro di noi, dobbiamo fidarci, abbiamo bisogno dell’altro per vivere.

Questo percorso parte dall’uomo e finisce all’uomo, ma l’uomo si è sempre più indebolito.

Quale messaggio dare ai nostri ragazzi?

La debolezza è forza, la vera forza è nell’accettazione della propria debolezza.

La fragilità è costitutiva dell’umano, non come qualcosa su cui piangere, ma che fa parte della nostra vita, della vita di questo strano animale la cui bellezza è nella precarietà.

  

Raffaele Mantegazza
Pedagogista (Università di Milano Bicocca)

 

 
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